sintesi
LA
MERAVIGLIA DI ESSERE UOMO di J. ECCLES – D. ROBINSON
John eccles, premio Nobel per la medicina a la fisiologia, è uno dei massimi neurofisiologi di questo secolo. Ha scritto numerosi libri dei quali alcuni, inseriti in questa ricerca. Questa volta in collaborazione con Daniel Robinson, professore di psicologia alla Georgetown University, hanno scritto un libro di straordinaria importanza e degno di profonde riflessioni. In questo libro vengono esposte alcune tesi
scientifiche che avevano sminuito il valore della persona umana e fatto sì
che innumerevoli persone considerassero se stesse e la propria vita come
insignificanti e inutili accidenti della natura materiale. La scienza è una delle nostre creazioni più grandi e di certo una delle guide più fidate nell’avventura umana: merita di essere coltivata e rispettata perché è degna espressione dell’abilità, della razionalità e delle speranze umane. Tuttavia è anche soggetta a distorsioni e degradazioni. Molte volte si stabilisce una sinonimia tra vero e scientifico, ed è comune credere che ciò che non è scientifico non può essere vero. Cosi il profano si rivolge alla scienza del comportamento e alla scienza morale per trarne indicazioni utili alla sua vita quotidiana, nello stesso modo in cui potrebbe rivolgersi alla fisica e alla chimica per indirizzare la propria comprensione della natura. Uno dei capitoli più significativi è senza dubbio: Ragionamento morale ed evoluzionismo. Libertà, diritti e doveri Potremmo cominciare
coraggiosamente dalla nozione di diritti, quelle cose intangibili che
hanno subito una pericolosa svalutazione in questi ultimi decenni
caratterizzati da una crescente inflazione. Che cosa significa dire
che abbiamo un diritto? Come tutti i termini
morali, anche questo è suscettibile di varie interpretazioni. Nelle sue
faccende quotidiane l’abitante del mondo libero è propenso a
considerare un diritto come a qualcosa che è garantito dalle leggi, come
una libertà di agire che tutti abbiamo il dovere di rispettare. Obbligato ad esprimere il
suo concetto di diritto in una sola frase, il cittadino direbbe che un
diritto è una libertà di azione legalmente garantita che ognuno è
tenuto a rispettare. Tuttavia, quando tentiamo
di trattare termini morali e legali come sinonimi, sorge un problema. Non
diremmo, ad esempio, che la Gestapo aveva il diritto di sterminare
gli Ebrei perché le leggi naziste lo permettevano. In realtà, la storia
e la vita quotidiana offrono numerosi esempi di garanzie puramente legali
che appaiono molto lontane dal concetto di diritto propriamente
detto. Riconosciamo, quindi che è tutto possibile che una legge o un dato
insieme di leggi permettano ciò che, ad un esame approfondito, quasi
tutti considererebbero sbagliato. E’ proprio questa possibilità di
conflitto tra legge e morale che ci prepara a giudicare ingiuste,
immorali, sbagliate, certe leggi. Diremmo, ad esempio, che
una legge che permetta la tortura degli animali non rende giusta tale
pratica, proprio come una legge che tollerasse furti, omicidi, frodi e
schiavismo non trasformerebbe tali attività in azioni corrette. Possiamo dire che la
legge nazista imponeva i cittadini tedeschi nel 1940 l’obbligo legale
di riferire dove abitavano gli Ebrei, ma difficilmente sosterremmo che
quei cittadini avevano l’obbligo morale di collaborare con le
autorità. Ciò che è importante a proposito di questa differenza non è
tanto il fatto che quasi tutti la percepiscono, ma il fatto che la stessa
logica della morale la richiede, e vedremo per quali motivi quando
esamineremo il concetto di legge. Nell’idea di legge è
implicito il concetto ( e il fatto ) dell’autonomia umana, giacché non
avrebbe senso legiferare su azioni che le persone non possono controllare.
Quando le azioni sono inevitabili non è necessaria alcuna legge, quando
le azioni sono impossibili qualsiasi legge è superflua. Quindi, per sua natura,
la legge si applica al campo delle azioni umane nel quale è possibile la
scelta e nel quale essa produce conseguenze premeditate. Proprio per
questa ragione le persone sono considerate responsabili, e quindi
punibili. La punizione legale implica logicamente responsabilità e quindi
colpa. Per questo, se una legge stabilisse di punire coloro che
hanno conformato le loro azioni alle leggi della fisica o che non si sono
macchiati di nessuna colpa, si porrebbe come una specie di contraddizione
logica . Imputare ad un uomo la colpa di essere un Ebreo, ad
esempio, significa incolparlo di qualcosa sulla quale egli non poteva
esercitare né controllo né scelta alcuna. Punirlo per lo stesso motivo
è ugualmente incoerente da un punto di vista logico, indicibilmente
barbaro secondo la morale. La medesima situazione si
presenta nel caso della schiavitù. Una legge che permette che persone
siano rese schiave – che ci “ ci obbliga “ a “ rispettare “ i
“ diritti “ dello schiavista -
si appella a noi come a esseri autonomi con il fine di negare
l’autonomia umana. Inoltre tale legge riserva punizioni e attribuisce
colpe ad una classe di individui che vengono raggruppati in base a
caratteristiche che essi non hanno
scelto e non avrebbero potuto controllare, come ad esempio,
caratteristiche di identità razziale. Nel presente contesto non è
necessario né opportuno difendere qualche particolare massima morale. E’ sufficiente mostrare
il completo fallimento di quell’espressione della saggezza
contemporanea, ora troppo comune, secondo cui la morale è interamente
relativa ai sentimenti personali e non si fonda su alcuna base più
solida. Il regno della morale è occupato necessariamente da esseri razionali,
che forniscono giustificazioni per i loro giudizi e pretendono che gli
altri si comportino allo stesso modo. E’ un regno essenzialmente proposizionale,
regolato dai modi universali dell’analisi logica. I suoi contenuti
si limitano ad un ristretto numero di premesse maggiori che devono essere
accettate come le condizioni stesse del vivere civile. Le premesse, una
volta accolte, conducono conclusioni inevitabili, che sono rese necessarie
dalla logica stessa e che sono impermeabili ai capricci del sentimento
dell’opinione e del gusto. Se la morale non possedesse queste
caratteristiche, sarebbe incoerente per gli stessi relativisti difendere
quel genere di presunti “diritti
“ stabiliti dal relativismo. Dal semplice fatto che la società è pluralista
non discende alcuna conseguenza morale: esso non imporrebbe ad un governo
di “ rispettare “ il
pluralismo o di tollerare la libera espressione. Potrebbe non essere ingiusto
perseguitare i dissenzienti o imprigionare coloro che avversano la
maggioranza. Potrebbe non essere disonesto sfruttare il debole e
l’ignorante, né perverso praticare il genocidio o
l’infanticidio. I concetti di ingiustizia, perversità e disonestà –
come l’obbligo di rispettare o di avere riguardo o di permettere –
possono essere compresi soltanto da esseri morali all’interno di un
contesto morale. Nell’universo privo di coscienza della sola
natura , nell’universo senza esseri razionali, non vi è né giustizia,
né pietà, né libertà, né onestà. Vi sono soltanto fatti, e nessun
fatto – in quanto tale – ricerca o richiede giustificazione. Coloro che difendono il
relativismo morale di solito asseriscono che le persone hanno il “
diritto “ di fare qualsiasi tipo di cosa, ma affermano che gli altri
hanno il dovere di rispettare tale diritto. Come si possa avanzare un
tale argomento e mantenersi seri, è un problema per esperti
dell’intelligenza e della personalità umana. Ma non è necessario che
anche noi conserviamo la serietà di fronte a un simile spettacolo.
L’avere il dovere di rispettare dei diritti implica almeno che vi siano
diritti e doveri. Poiché tali entità non sono caratteristiche della pura
materia, non possono essere comprese utilizzando le leggi della fisica.
Esse nascono come abbiamo mostrato, dalle “ leggi della logica “ e da
esseri che forniscono e che richiedono giustificazioni per azioni di un
certo tipo. Si formano, quindi, in un discorso razionale, e non come
risultato di una specie di indigestione. Ad esempio, non si può stabilire
se la schiavitù è giusta o sbagliata chiedendosi che cosa la gente
“sente “ a questo proposito. Se è moralmente sbagliata, lo era prima
del XIII emendamento come lo è stata dopo; era sbagliata in Louisiana
come a Madrid, nel 1350 come ne 1850 e come lo sarà ancora nel 2050; è
sbagliata per le tribù che la permettono e per quelli che la vietano, per
gli Indù come per i Cristiani. Molte
persone, naturalmente, non hanno considerata sbagliata la schiavitù,
proprio come molti hanno avuto idee inesatte su ogni sorta di questioni.
Ma una volta compreso che la schiavitù può derivare soltanto
dall’ipotesi secondo cui gli esseri umani sono proprietà – ossia sono
oggetti che possono essere usati per il piacere e il vantaggio di altri
– ne consegue necessariamente che nessuna libertà, di qualsiasi
genere, può essere difesa soltanto con la mera forza fisica. La schiavitù e il
discorso che la giustifica, comporta la negazione di quei principi che
permettono lo status di giusto possesso. Come giustamente ha
affermato Hadley Arkes, se la schiavitù non è sbagliata, niente può
esserlo. Inoltre, per ribadire il concetto, non giungiamo a comprendere
questo discorso controllando il nostro polso o i battiti del cuore o il
funzionamento dell’intestino. Questo è il dono della ragione,
le cui regole pervadono ogni cultura, ogni tribù, ogni raggruppamento
di esseri razionali, vale a dire, di persone umane. Ciò che abbiamo detto
stabilisce la razionalità dei principi morali e il fatto che la
morale è accessibile soltanto a esseri razionali. Questo non significa
che tutti gli esseri razionali sono necessariamente morali, ma che tutti
gli esseri morali sono necessariamente razionali. Un essere esclusivamente emotivo o sentimentale potrebbe essere spinto a compiere azioni che gli esseri morali descriverebbero come buone o virtuose; tuttavia, non conoscendo le ragioni delle sue azioni, non potrebbe essere chiamato morale. Infatti, essere spinti dall’emozione significa cedere alla forza, compiere azioni determinate da forze non mentali. Significa essere schiave delle situazioni, irresponsabili perché non liberi. Di conseguenza, l’odierna teoria morale, comune e grossolana, secondo cui la morale si baserebbe soltanto sui sentimenti che le persone provano a proposito di questa o di quella cosa, è completamente incoerente. Ma perché allora le persone comuni approvano o condannano certe azioni in base ai “ sentimenti “ che questi eccitano? Perché , vale a dire, oggi si considerano cogenti espressioni come “ Sento che è sbagliato “ o “ Sento che si dovrebbe fare questo e non quello”? Ancora più paradossalmente, perché il mondo moderno è giunto a ritenere spiacevole e sospetto l’essere “ sentenziosi “? Possiamo iniziare ad affrontare questi problemi notando quali strani significati sono stati associati all’idea di libertà. Sembra che l’odierna filosofia popolare consideri la libertà secondo criteri esclusivamente politici e sociali, di modo che si crede che chiunque appartenga ad una società libera sia libero di fare tutto ciò che non sia esplicitamente proibito dalla legge. A questa concezione si aggiunge la credenza secondo cui, quando una parte abbastanza ampia della società sceglie di non essere più soggetta ad una legge, questa può venire modificata mediante un procedimento politico. La concezione popolare, quindi, ha spogliato la libertà di tutti i suoi attributi morali, riducendola a una pura e semplice convenzione che, a livello politico, è un sistema di governo. Ma se effettivamente la libertà fosse soltanto
questo, nessuno potrebbe reclamarla come diritto, perché i diritti
sono irriducibilmente morali. Se si perde di vista il carattere irriducibilmente morale dei diritti, è facile farsi cullare da massime rassicuranti come quelle del libertarismo. Da questo apprendiamo, ad esempio, che ciascuno ha il diritto di fare qualunque cosa scelga di fare purché le sue azioni non neghino i diritti altrui. Secondo questo slogan, niente è sbagliato in se stesso, perché ogni persona è giudice morale delle proprie azioni. Ma se niente è sbagliato in se stesso, su che base si può dire che si ha l’obbligo di rispettare i diritti degli altri? Perché la maggioranza no dovrebbe negare i diritti della minoranza? Se la libertà non può essere difesa moralmente – se non è altro che un insieme di convenzioni e strategie politiche – perché non potremmo sospenderla per tentare di raggiungere altri fini e obbiettivi sociali? Poiché sia libertarismo sia l’individualismo sono soltanto slogans, essi non possiedono alcun valore di liberazione sociale. Il problema del libertarismo, almeno nella sua forma attuale, risiede nel fatto che la sua validità non è giustificata, ma soltanto asserita. Per giustificare il libertarismo, e lindividualismo che esso cerca di rispettare, occorrerebbe ricercare l’insieme di assiomi morali e di connessioni logiche che permettono di affermare che la libertà è una necessità e non solo una vuota parola d’ordine. A meno che non siamo accecati da qualche metafisica insidiosa, la ricerca non è né lunga né tortuosa. Partiamo dal fatto che tutte le leggi, tutte le libertà, tutti i diritti sono comprensibili soltanto se si postula che le persone sono esseri morali che possono essere vincolati dalla coscienza, ed esseri razionali capaci di riconoscere la portata universale degli imperativi morali. Ciò che conferisce libertà all’individuo non è qualche sua misteriosa proprietà, ma l’universalità di certe proibizioni morali. Se la mera individualità del singolo fosse la base dai suoi diritti, non potremmo opporci a lui nemmeno per difenderci. La proibizione dell’omicidio non scaturisce dalla convinzione superstiziosa che le persone posseggano proprietà occulte o sacre, ma dal legame razionale che unisce la legge, responsabilità, colpa punizione. Chiederci se abbiamo il diritto di uccidere un uomo significa richiamarci al linguaggio delle giustificazioni ossia, in ultima analisi,appellarci ad un insieme di proposizioni morali. Queste proposizioni assumono implicitamente che le persone hanno una autonomia sufficiente per eseguire certe azioni volontarie e per esserne, quindi, responsabili. Perciò, abbiamo il diritto, ad esempio, di prevenire l’uomo dal compiere azioni che distruggono i diritti stessi. Detto semplicemente , abbiamo il diritto di impedire
ciò che è sbagliato e, per la medesima logica, non abbiamo il diritto
di fare ciò che è sbagliato. L’insegnamento dei valori morali ai giovani viene spesso deriso e considerato un indottrinamento, un lavaggio del cervello. Ma coloro che lo schermiscono rivolgerebbero le medesime critiche all’insegnamento di un linguaggio? Sosterranno di certo che è un crimine lasciare i bambini liberi di fare quello che vogliono quando apprendono un linguaggio. Essi potrebbero soffrire di incapacità linguistica per il resto della vita. Se negli anni di formazione del cervello, capace di tutte le espressioni umane, non viene sfruttato, vanno perdute le meravigliose potenzialità della costruzione genetica . lo stesso vale per l’educazione morale. Il cervello impressionabile del bambino deve ricevere un’istruzione morale, altrimenti il bambino diventerà un adulto dalle qualità umane menomate o indebolite. Questo è un crimine come lo sarebbe allevare un bambino senza dargli un’adeguata educazione linguistica. La mancanza di un’educazione morale in casa, a scuola, o in ambienti sani moralmente è ora tragicamente manifesta nello sfacelo della famiglia e nella generale permissività richiesta dai giovani e ad essi concessa. I sistemi di valori che sono stati costruiti nell’ambiente culturale nel corso di molte centinaia di anni si stanno ora deteriorando al punto che la società è minacciata da una nuova ondata di barbarie. Crimini di tutti i tipi – furti, violenze, omicidi, rapimenti, traffici illeciti – aumentano ad un ritmo vertiginoso. La popolazione delle prigioni è in crescita come non mai. Tali sono i danni che derivano che derivano dalla mancanza di un’educazione morale. Mentre è così grande l’interesse pubblico per la
prevenzione della guerra nucleare, che minaccia di distruggere la società
dall’esterno, c’è un interesse deprecabilmente scarso verso il
pericolo interno di distruzione della società provocato dal fallimento
del nostro sistema di valori. Dopo una dettagliata panoramica sulla morale e sui diritti e doveri dell’uomo fatta da Robinson ed Eccless, è d’obbligo tracciare un profilo della mia ricerca, che è iniziata circa venti anni fa con una estenuante indagine delle verità attraverso libri di scienze di varie discipline, e dei quali non ho trovato quello che cercavo, una via, un indizio, che mi potesse dare un concreto aiuto oggettivo verso quella che doveva essere la ragione della mia esistenza, solo dopo aver letto alcuni libri di teologia e filosofia, dei quali ho cercato di tracciare i punti più importanti di congiungimento tra immanente e trascendente, ho scoperto che si può ritrovare la via per credere in Dio anche se non si è profondamente Cristiani Cattolici Romani “ come si intende oggi. Non è importante, difatti essere seguaci della religione cattolica romana (dopo aver letto la storia del cristianesimo nel mondo, con tutte le sue trasformazioni, inquisizioni, allontanamento dal vero messaggio di Gesu ) per credere in un Dio, è invece importante analizzare le meraviglie che la natura ci offre per poter crederci. Una delle ragioni indipendentemente dalla religione cristiana cattolica, mussulmana, o ebrea, è proprio quello che ci propone Robinson ed Ecless in questo libro. La moralità come caratteristica unica dell’uomo e nell’uomo, a saper discriminare il bene dal male. Saper riconoscere i propri obblighi morali nei confronti degli altri, amare e proteggere i deboli, non commettere degli atti che possono produrre disequilibri nella società, perché la società in cui viviamo e di tutti, e tutti abbiamo il diritto di vivere in maniera uguale, quindi niente discriminazioni razziali, niente lotte spietate tra uomini, niente posizioni arroganti e giochi di potere sociale e politico, ma collaborazione per un benessere comune, questa è la vera essenza della vita di un essere cosi meraviglioso che è l’uomo. Credere per fede in maniera superficiale, non credo
che sia la migliore delle ipotesi per arrivare a credere in un Dio. Penso
sia necessario valutare e soprattutto leggere o informarsi sulle varie
fasi storiche che ci hanno portato in un mondo, che è quello di oggi,
dove regna la confusione sulla fede, ma non per volere dell’uomo, ma per
tutto quello che nel nostro caso la religione cattolica romana attraverso
il suo progetto di egemonia e di gerarchia politico-teologico-sociale ha
tralasciato quello che doveva essere la sua essenza “Il vangelo di
Gesù “, ma tutto questo come ben sappiamo da alcuni libri di un
autorevole teologo “controcorrente “, Hans kung, è documentato
nella storia, che nessuno può cancellare, dall’inquisizione cattolica
romana alla persecuzione degli ebrei, dalla lotta tra papato nella chiesa
alla trasformazione radicale della vera essenza del vangelo di Gesù,
dallo scisma tra Oriente e Occidente alle trasformazioni dei ruoli del
pontefice, vescovi e concili. Il cittadino comune deve sapere e conoscere
la storia per potersi aggrappare ad appigli solidi per la sua crescita
morale. Ecco perché ho cercato di trovare attraverso la mia lettura
l’alternativa della vera fede in tre particolari ragioni:
1) il valore morale della persona umana come ragione unica di
questo mondo meraviglioso, dove noi siamo spettatori dell’universo e
dove avremmo la possibilità di vivere in armonia indipendentemente dal
fenomeno razziale e politico - sociale. 2) La critica molto rigorosa al riduzionismo,
determinismo e neodarwinismo che ci allontana dalla vera natura
dell’uomo come essere dotato di coscienza, autocoscienza che sono
prerogative uniche di un essere che non è nato per caso, ma attraverso
studi ed esperimenti scientifici molto rigorosi si è arrivati alla
conclusione che il cervello dell’uomo non è solo un ammasso di neuroni,
ma un tramite per manifestare la propria autocoscienza ed il proprio IO. 3) La rivalutazione di un messaggio storico che ha come fine la morale universale e atemporale: IL VANGELO. La storia di Gesù è storia documentata non si può non credere solo perché la religione cristiana lo ha drammaticamente trasformato nella sua essenza. È d’obbligo che ognuno di noi abbia delle informazione sul vero messaggio che Gesù ha dato all’umanità, le parole di Gesù nel vangelo non hanno tempo, sono valse nel suo tempo, valgono oggi, varranno domani, perché hanno valore di una morale universale e senza tempo. Ecco tutto questo è il piccolo contributo di un semplice lettore che attraverso un’indagine profonda e con l’aiuto di alcuni libri vuole oggi far conoscere anche agli altri, perché credo che il messaggio sano abbia il potere di far riflettere e cambiare l’umanità in una dimensione più umana di quella che si prospetta oggi.
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