sintesi

                                     LA FINE DELLA SCIENZA  di  JOHN HORGAN

 

John Horgan è un giornalista scientifico di fama mondiale, è stato redattore di una delle più prestigiose riviste scientifiche. SCINTIFIC AMERICAN. Ha intervistato diecine e diecine di scienziati tra i più rappresentativi del nostro tempo e delle più importanti discipline scientifiche. Ha partecipato a innumerevoli congressi e conferenze. In quest’ultimo decennio si è dedicato ad una ricerca molto interessante che lo ha portato a considerare in maniera oggettiva quale sarà il ruolo della Scienza nel prossimo futuro. Da qui è nata l’esigenza di scrivere due libri apparentemente provocatori: La fine della Scienza e La mente inviolata, quest’ultimo inserito in questa ricerca, ma in realtà se noi analizziamo molto da vicino questo problema con una buona documentazione, quale in questo libro ci viene fornita da John Horgan ci accorgiamo che esistono dei problemi oggettivi per quel che riguarda la scoperta di nuove leggi nel campo delle scienze.

La Scienza via via che progredisce, impone sempre nuovi limiti alle proprie possibilità: la teoria della relatività ristretta di Einstein vieta la trasmissione di materia e anche di informazione a velocità superiore a quella della luce; la meccanica quantistica stabilisce che la nostra conoscenza del microcosmo sarà sempre incerta; la teoria del caos conferma che molti fenomeni sarebbero impossibili da prevedere anche a prescindere dall’indeterminazione quantistica; il teorema di Godel nega la possibilità di costruire una descrizione matematica completa e coerente della realtà; e la biologia evoluzionistica ci ricorda continuamente che siamo degli animali, plasmati dalla selezione naturale non per scoprire le profonde verità della natura, ma per riprodurci.

Quanti spinti dall’ottimismo, pensano di riuscire a superare tutti questi limiti devono fare i conti con un ulteriore interrogativo, forse il più inquietante. Che cosa faranno gli scienziati se riusciranno a conoscere tutto il conoscibile? Quale sarebbe in tal caso lo scopo della vita? Quale sarebbe lo scopo dell’umanità.

La mente, e non lo spazio, rappresenta l’ultima frontiera della scienza. Anche quanti nutrono la massima fiducia nel potere della scienza di risolvere i problemi che la riguardano considerano la mente una fonte inesauribile di interrogativi.

Il problema della mente può essere affrontato in modi diversi. C’e la dimensione storica: come e perché Homo Sapiens è diventato così intelligente? Darwin ha fornito una risposta di carattere generale molto tempo fa: la selezione naturale ha favorito gli ominidi capaci di servirsi degli utensili, di intuire le azioni dei potenziali concorrenti, di organizzarsi in gruppi per cacciare, di mettere in comune le informazioni mediante il linguaggio e di adattarsi alle circostanze mutevoli.

Insieme alla genetica moderna, la teoria darwiniana ha molto da dire sulla struttura della nostra mente e quindi sul nostro comportamento sessuale e soprattutto sociale.

I moderni studiosi di neuroscienze, però, più che a sapere come e perché la nostra mente si sia evoluta in senso storico, sono interessati a capire come essa sia strutturata e funzioni ora.

La distinzione è analoga a quella che si può fare tra cosmologia, che cerca di spiegare le origini e la successiva evoluzione della materia, e la fisica della particelle, che si occupa della struttura della materia quale ci appare qui nel presente.

La prima è una disciplina storica e quindi necessariamente incerta, congetturale e aperta a sviluppi molteplici. La seconda è, al confronto, molto più empirica, precisa e suscettibile di approdare a una soluzione definitiva.

Anche se gli studiosi di neuroscienze limitassero le loro ricerche al cervello sviluppato trascurando lo stato embrionale, rimarrebbero centinaia di interrogativi. In che modo apprendiamo, ricordiamo, vediamo, percepiamo odori, sapori e suoni? La maggior parte dei ricercatori direbbe che questi problemi sono abbordabili, anche se estremamente difficili; gli scienziati li risolveranno ricostruendo a ritroso i nostri circuiti neurali. La coscienza, la nostra sensazione soggettiva di consapevolezza, per contro, è sempre sembrata un enigma di tipo diverso, non fisico ma metafisico.

Per gran parte di questo secolo, la coscienza non è stata considerata un argomento suscettibile di indagine scientifica. Benché il comportamentismo fosse morto, il suo retaggio rimaneva vivo nella riluttanza degli scienziati a prendere in considerazione i fenomeni soggettivi, e la coscienza in particolare.  

I modelli numerici funzionano meglio in certi casi che in altri. Funzionano particolarmente bene in astronomia e in fisica della particelle, perché le forze e gli oggetti coinvolti corrispondono con molta precisione alla loro definizioni matematiche. Inoltre, la matematica aiuta i fisici a definire ciò che altrimenti indefinibile. Un quark è una costruzione puramente matematica; non ha alcun significato al di fuori della sua definizione matematica. Gli attributi dei quark – il charm, il colore, la stranezza – sono proprietà matematiche che non danno luogo ad alcuna interpretazione  analogica nel mondo macroscopico in cui viviamo. Le teorie matematiche sono meno convincenti quando vengono applicate a fenomeni più concreti e complessi, come quelli che rientrano nel campo della biologia. Come ha osservato il biologo evoluzionista Ernst Mayr, ogni organismo è unico, e per di più cambia da momento a momento. Questa è la ragione per cui i modelli matematici dei sistemi biologici hanno in generale una minore capacità predittiva rispetto alla fisica. Dovremmo considerare con altrettanto scetticismo la loro capacità di fornire verità circa la natura.  

 

BIBLIOGRFIA